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Giananderea Pasquinelli Intervista Prison Songbook

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Il grande armonicista Gianandrea Pasquinelli ci ha permesso di raccontare Prison Songbook in un intervista uscita per il suo blog alla vigilia del Castelfranco Blues Festival 2022.

Era un po che non facevamo interviste ma l’estrema competenza di Gianni ci ha permesso di raccontare in modo esauriente quello a cui il pubblico del festival avrebbe assistito.

Parlare di Prison Songbook e della sua genesi ci emoziona tutte le volte in quanto col passare del tempo è diventato per noi un importante biglietto da visita e ormai le persone ci riconducono a questo progetto.

Parlare di questo progetto al tempo stesso ci serve per ricordare a noi stessi quali sono le ragioni profonde che ci hanno portato a volerlo così fortemente.

INTERVISTA

GIANNI:Allora buonasera

GIANNI: Sara Piolanti e Marco Vignazia siamo qui per presentare in anteprima all’esibizione del 25 di questo mese di giugno in piazza Garibaldi nell’ambito del Castelfranco blues festival, mi raccomando partecipate numerosi perché è uno spettacolo che è veramente di rilievo.
Ora prima di iniziare, io un po di Marco conosco il suo percorso, di quello di Sara, diciamo so che è partita con Vince Vallicelli, quindi con un storico batterista della scena blues di Forlì e quindi le darei la parola perché vorreo sapere, insomma, qualche elemento del vostro percorso musicale.

SARA: Vabbè a livello di blues come come hai appena detto sul palco, le mie primissime esperienze la mia, la mia gavetta è stata con Vince, ero all’ultimo anno di liceo se non sbaglio quindi veramente piccolina però diciamo che era al primo approdo dopo un viaggio che era partito già prima.
Io dai miei compagni di classe fin dall’età più o meno dei 13 14 anni ero quella che ascoltava la musica da vecchia e cioè il blues rhythm and blues e cose cose del genere, un po per gli ascolti di mio padre un po proprio per questa connessione a pelle con questo genere che che mi ha coinvolto davvero fin quando fin da quando ero piccola, poi in generale ho avuto e ho diverse situazioni in cui esprimo il mio amore per la musica ecco mettiamola così, il rock, indie rock, il mio gruppo tuttora attivo soprattutto nella zona del reggiano è questa chi non la mia semplicissima genesi cominciando proprio a suonare il classico garage con gli amici ho fatto veramente quella quella gavetta molto, molto tradizionale, se così si può dire molto romantica anche, perché ha proprio preso tutti quegli aspetti di quando la piccolina tenti di cominciare a farti un pochino spazio, farti un po la questo ambiente.

GIANNI: Ecco io sono interessato ai Caravan De Ville, che diciamo dove lavoro io hanno un seguito, uno zoccolo duro, nota per i Caravan de ville, ho visto che avete ripreso ora a suonare, che vi eravate fermati.

SARA: un periodo di 15 anni. oTra l’altro avevamo eravamo la settimana scorsa a Vignola quindi non lontanissimo diciamo da Castelfranco

GIANNI: Marco tu dicci qualcosa di te insomma

GIANNI: Sempre da Belluno sei piovuto a Forlì

MARCO: Da Belluno a Forlì e quest’estate tornerò a Belluno e sarà per me una roba importante, tornare al Dolomiti Blues and Soul festival sarà Tornare a casa dopo essere sparito praticamente da Belluno per quasi trent’anni e si io Belluno, sempre blues, ho conosciuto i blues con un concerto di Burnside a Belluno e poi ho sempre cercato, seguito fin dove ho più potuto con i miei mezzi, con le mie capacità, con quello che sapevo fare, con quello che non sapevo ancora fare, con la mia voglia di conoscere anche le persone che avevano la pressione con la mia, tra cui anche te, ci siamo conosciuti a Bologna e quindi e poi andare avanti e sbattere il naso rialzarsi confrontarsi con un mondo difficile, molto settario su cui ci sono altarini contro atarini posizioni acquisite che vengono difese… una storia un po complessa, comunque contento perché appunto ho avuto occasione di conoscere tante persone veramente molto interessanti, anche recentemente tra l’altro, penso ad Angelo Leadbelly Rossi che vedrò sul palco insieme a noi sabato prossimo, Claudio Bertolin, tutte persone che mi hanno arricchito molto umanamente e anche musicalmente e mi hanno permesso di guardare le cose con una maturità diversa, quindi al di là del fatto che io vengo dall’elettrico e poi diciamo vado a tutto campo sul mio approccio al blues queste persone mi hanno fatto comunque fare un salto di qualità che sento è diventato importante anche poi per Prison Songbook.

GIANNI: ok quindi ora ci avete dato un po di coordinate su il suo il vostro percorso, in maniera sintetica ovviamente, ma quindi come vi siete incontrati? Quale è stato poi il punto di equilibrio che vi ha portato a questo progetto Prison Songbook?

MARCO: beh a Migliarino, nel senso che era un progetto che c’era già in essere, che avevo già nella testa un po di tempo, quando abbiamo iniziato a capire come funzionavano, allora ho proposto a Sara questa cosa.

SARA: noi suonavamo già insieme Gianni, abbiamo cominciato a suonare insieme quando io sono tornata qui a Forlì da Milano circa tre anni fa e abbiamo cominciato a suonare insieme perché Michele Minisci che era direttore artistico del Naima, insomma è uno che macina un po in questo senso, mi ricordo che mi trovò una data e mi serviva un chitarrista e mi propose di contattare, anzi ricontattare Marco, perché io Marco, proposito di Vince Vallicelli, lo conobbi quindi parliamo di 20 anni e passa fa proprio diciamo nel contesto di Vallicelli, poi non c’eravamo mai più sentiti però appunto circa 20 anni ecco.
Diciamo che tutto è l’incontro è stato quello, ricominciare a suonare insieme quando io da Milano sono ritornata a Forlì circa quattro anni fa poi è successo quello che stava descrivendo Marco.

GIANNI:l’idea del progetto così, Prison Songbook, un bel repertorio diciamo da di nicchia ed addetti ai lavori, Alan Lomax e così via diciamo come nasce questa scelta insomma?

MARCO: inanzitutto il mio amore per Bukka White, perché Bukka White aveva una scrittura fantastica che in due parole riusciva ad descrivere una situazione e dopo di che ovviamente questa cosa non è rimasta lì, nel senso che indagando poi il perché Bukka White scriveva queste cose sono venute a cascata giù una valanga di informazioni. Mi interessava capire se esisteva un blues carcerario, nel senso che è una sotto tematica che c’è nel blues ma era interessante capire se e quanti e di questi artisti avevano raccontato la prigionia e quindi scrissi a Marino Grandi del Blues Magazine e chiesi anche lui si poteva indicarmi delle fonti delle cose, scrissi a molti atri anche a Roberto Menabò, alcuni mi diedero alcune informazioni altri mi dissero alcune cose che conoscevo già, ma illuminante fu a parte il fatto che Lomax già lo frequentavo, della conoscenza del materiale interessante proprio l’indicazione di Marino Grandi sulle registrazioni di Harry Oster che mi permisero di vedere un una realtà ancora più ampia, quella che è registrata da Oster è una cosa ancora più ampia perché aveva a che vedere con artisti anarcoidi come Robert Pete Williams, come Otis Webster, Hogman Maxey, tutti soggetti che mi erano, no Williams lo conoscevo, ma gli altri proprio non sapevo neanche chi fossero e mi sono reso conto che questo percorso all’interno del blues carcerario avevo sacco di sotto-tracce molti tranelli, nel senso che il fatto che uno registrasse in galera Stackolee, per esempio una classica storia di violenza, il cattivissimo Stackolee che uccide Billy Lions eccetera, non voleva dire che quello fosse un blues carcerario e quindi un sacco di domande ci stava ponendo io e Sara su che cosa fosse veramente la tematica e alla fine abbiam capito che la tematica erano i diritti umani, c’è qualcosa che va al di là della musica e che è il motivo per cui si creano canzoni, ispirazione vita vissuta tante cose, e qui veniva fuori il blues nel senso che nel momento in cui alle persone viene tolta la cosa più importante che è la libertà e le persone sentono l’esigenza di raccontarlo è allora quello il tema, non so se mi sono spiegato? Dopo di che salta fuori che la tematica carceraria era presente in tantissimi autori anche fuori dalle carceri e allora lì siamo partiti a spron battuto perché il fatto che ci fosse era il problema. Nel senso che se c’è quella tematica li è perché c’è un problema, un problema sociale di discriminazione, problema sociale di un popolo che se che ha esigenza di raccontare questa condizione quindi preso Prison Songbook è solamente una raccolta delle carceri è una raccolta di come popolo afroamericano raccontava la privazione della libertà.

GIANNI: e questo è molto interessante perché diciamo anche contestualizzandolo al mondo attuale c’è un tema sulle carceri che quello che dovrebbe essere secondo l’articolo 27 della costituzione diciamo un luogo di rieducazione, in realtà è un luogo di contenimento isolamento sociale di privazione, degli affetti, di privazione di tutto quello che diciamo rappresenta l’uomo ed è strano che recarsi nelle carceri moderne non mentre c’è una libreria e la maggior parte dei carceri non c’è la possibilità di ascoltare, fare musica. Ci sono degli esperimenti pilota che per esempio, ce n’è uno che ricordo che è quello fatto da Franco Mussida della PFM di milano che ha fatto questo esperimento in quattro carceri italiane dove ha proposto un’audioteca e questo diciamo può essere analizzato dal punto di vista così degli effetti dell’impatto con dei risvolti molto ma molto interessante. Insomma è quindi un tema che mi è caro sia storicamente dice molto quello che dicevi che marco sia per l’attualità.
Ma voi in questo progetto quindi coniugate poi una parte live fatta ovviamente dalla musica dei brani che avete selezionato, in cui ricordiamo che insomma Sara sostanzialmente canta e utilizza delle percussioni Marco invece utilizza una chitarra elettrica a e poi abbinate diciamo lo spettacolo con degli audio video registrati che avete selezionato diciamo come nasce questa integrazione?

SARA: in realtà per un motivo molto semplice a parte che va beh i testi sono in uno slang particolare dove anche se sei un po anglofono capisce non capisce e ci siamo accorti di quanto invece fosse determinante per far arrivare proprio la lirica dei pezzi che stavamo facevamo sin dall’inizio è nata l’idea facciamo una sorta di libretto come si fa nella lirica poi per avere qualcosa di fruibile sempre di volta in volta direttamente su un palco, più scenografico, visto che poi noi ci rivolgiamo prevalentemente a teatri e festival, quindi in contesti dove questo è possibile farlo, tentando sempre di più di renderlo per l’appunto più teatrale possibile più più a 360 gradi.
In realtà qualche cosa che già si è visto e già si vede, non è niente di innovativo niente di nuovo l’obiettivo era veramente, meramente, soprattutto quello di far sì che la gente sapesse che cosa stavo dicendo per me quello di cui si sta parlando, perché secondo noi c’è una potenza espressiva in questa poetica pazzesca e Marco ha parlato di Buca White ma davvero Robert Pete Williams insomma poi..bene molte cose che tra pochi giorni potrete verificare voi stessi, ci sembrava di togliere una grande fetta nel non aiutare a capire.

GIANNI: ecco una cosa che diciamo mi veniva da chiedere era quella, se c’è una sincronizzazione tra le immagini che voi proiettate e lo spettacolo che proponete live, avete dei margini per l’improvvisazione?

SARA: avevo letto in realtà non sono cose che non cozzano per niente forse non so se hai inteso bene qual è la questione io semplicemente faccio andare una slide che si ripete all’infinito finché non ho finito la canzone quindi noi possiamo improvvisare quanto vogliamo e lo facciamo quindi non non ci relega a quei tre minuti perché la slide va avanti quando è finito il testo che scorre ricomincia.
L’unico legame è quello su una scaletta questo sì, noi dobbiamo cominciare con una scaletta definita dove il primo pezzo è quello secondo è quello il terzo è quello e preparare la relativa corrispondente scaletta delle slide ma detto questo non ci sono limiti di tempo dell’esecuzione, non volevamo che ci fossero proprio questa cosa libertà del momento chi deve essere se no è lettera morta e quindi abbiamo utilizzato questo questo stratagemma nel testo in doppia lingua italiano e in inglese in modo da far capire alla gente che cosa stava succedendo.

MARCO: in realtà abbiamo tre tipi di approcci il primo è questo quello che noi usiamo nei teatri ,che useremo probabilmente al Dolomiti Blues & Soul, ma poi abbiamo un secondo approccio che è quello che useremo a Castelfranco dove non è possibile fare la proiezione sarà stampato dal Comune un libretto con dei riferimenti numerici che Sara quando appunto introdurrà un pezzo dirà corrisponde al numero del brano eseguito. Nel caso in cui gli stampati fossero inferiori al numero dei partecipanti ho creato un QR code che fotografato manda all’interno della pagina del sito con i testi in modo che si possa seguire dal cellulare.
Cioè i testi per noi sono fondamentali, anche perché parliamoci chiaro, molte persone non si appassionano al blues perché è tutto uguale dicono, non è vero lo sappiamo, però c’è un problema, perché percepiscono questo? perché sentono solo la musica! poi non interessa la musica perché se no sentirebbero le variazioni però nel momento in cui li fai entrare a contatto con la dimensione contenutistica del dei testi gli fai toccare con mano il motivo per cui tu stai facendo quel tipo di percorso. Quindi per noi è importantissima questa cosa dicevo, ci siamo confrontati anche con Fabrizio Poggi per esempio per alcune trascrizioni, lui è uno studioso della lingua quindi mi ha aiutato con alcune indicazioni, anche per lui è importante il testo ed è importante proprio perché è la tematica che guida questa questa selezione di brani e questo percorso, solo che se non lo fai arrivare, ti può piacere come suono io, come canta lei ma assaggi solamente una fetta piccola della torta. Il progetto rischierebbe di non arrivare come dovrebbe.

GIANNI: quindi c’è un grosso lavoro che fate di costruzione del repertorio che parte diciamo dalla ricerca dei brani dalla trascrizione, che non è facile..

SARA: non è facile per niente per per mille motivi primo perché di questi pezzi proprio non sono da nessuna parte, cioè letteralmente, secondo perché anche una volta che chi li trovi è uno slang al limite dell’analfabetismo in alcuni casi perché poi questi personaggi magari non avevano a un’altra alfabetizzazione se parliamo di situazioni abbastanza al limite e perciò si è stato assolutamente difficile con le traduzioni, difficilissimo cioè difficilissimo renderlo per quello che sono con tutte queste frasi idiomatiche insomma sì non è stato semplice infatti abbiamo chiesto, parlava adesso li Fabrizio Poggi, ancora prima a dei texani, un texano in particolare che ci ha dato una mano con un testo, cioè realmente abbiamo avuto bisogno di un madrelingua.

MARCO: è un lavoro di ricerca, si, ci siamo appoggiati come diceva giustamente Sara a trascrittori madrelingua per alcune cose che non si trovavano su internet e via dicendo però ci interessavano perché magari di quell’autore li era l’ultima registrazione che ha fatto prima di sparire nel nulla, cioè che il valore anche di portare fuori una testimonianza. Io mi commuovo quando penso che Guitar Welch che ha scritto un brano bellissimo che Electric Chair Blues noi l’abbiamo portato in un teatro, io ogni volta che ci penso mi commuovo perchè? Perché penso di averlo portato fuori dalla prigione averlo valorizzato, per questo mi commuovo perché, prendere questo testo e farlo conoscere, mettergli una cornice che valorizzi il quadro per me è una cosa bellissima è bellissima perché prendo questo autore per mano e lo tiro fuori insieme a Sara dalla sua prigione, lo porto in una dimensione artistica in cui quello che fa la sua narrazione viene capita e di viene valorizzata per me questo è il massimo quando abbiamo fatto questa cosa al Teatro Verdi o al Teatro Jolly che ero contentissimo perché al di là del fatto di dover fare delle cose che sono accattivanti, sì perché il festival sennò non ti prendono eccetera, tu fai una cosa di questo tipo è hai dato il tuo contributo alla musica. Io la vedo così.

GIANNI: insomma avete un progetto lo presentate con successo in giro teatri festival ora avete anche un libretto di sala e un disco insieme avete programmato di farlo?

SARA: è nell’aria, sì credo che sarà la logica non conclusione, proprio come dire, il logico step successivo, da due anni senza fretta, nel senso che di fatto è vero che il progetto esistente però c’è stata la pandemia in mezzo quindi siamo ripartiti da relativamente siamo poco tempo ecco perciò però sì personalmente credo che andrà fatto insomma non so cosa ne pensa ma credo che…

MARCO: si si, nonostante io non sia un animale da studio di registrazione, penso che sarebbe una cosa perché una cosa giusta anche per lasciare comunque in segno e comunque per me già una grandissima cosa quello che stiamo facendo e perché davvero proporre un progetto culturale, che però è un progetto musicale che spiega alcune cose ma lo fa in maniera da non essere pedante, cose di questo tipo, per me è già una grande grande e bella esperienza, e che vedo che le persone più attente stanno capendo, nel senso che vi vedo che c’è una bella ricettività nei confronti di questo progetto, capiscono che il percorso che è stato intrapreso all’interno di quello che il panorama blues italiano, è un percorso valido e alcuni ci hanno anche molto aiutato cercare di portarlo in giro per cui molte persone si sono interessate, dobbiamo ringraziare anche molto, la Francesca Montagni che ci ha permesso di portalo fuori per la prima volta, comprando questo progetto a scatola chiusa, per un direttore artistico veramente un atto di grande coraggio e molte altre persone adesso ci aiutano la portavano in giro credono in questo progetto e penso che sarà molto bello farlo conoscere alla gente, più lo portiamo in giro più sul territorio nazionale e più probabilmente la gente inizierà appassionarsi anche ai contenuti del blues credo. Penso che se ci permettono di raccontarlo così come lo abbiamo pensato penso potremmo essere molto contenti di questi risultati, ecco io già sono contento adesso per le ragioni che ho detto prima.

GIANNI: abbiamo raccontato un po il vostro progetto, penso che ora sia chiaro insomma chi possono essere fruitori del vostro spettacolo questo sabato..

SARA: in realtà tutti possono esserlo l’obiettivo sarebbe quello, poi come diceva Marco ci sono quelli più attenti che stanno cogliendo per primi diciamo lo spessore della cosa, che è innegabile, secondo noi c’è, è reale, è una cosa di un certo spessore ma non è una cosa elitaria, questo voglio che sia chiaro, perché assolutamente però, l’obiettivo era quello che diventi un messaggio che non devi andare a decifrare e decodificare, capito? ci riguarda tutti in fin dei conti tocca, tutti non è qualche cosa di incomprensibile la perdita della libertà, il riscatto, il dolore cioè riguarda tutti noi, nessuno escluso, quindi in questo senso secondo me spero che sia sempre più a largo spettro il pubblico che ci segue.

MARCO: il parlare di questi argomenti è bello, è bello proprio perché fa capire qualcosa di più del blues delle sue motivazioni, ma non solamente del blues ma di una cosa che riguarda tutti quanti cioè che è la libertà, del percorso che molte persone hanno fatto per raggiungerla e delle difficoltà che si incontrano incontrano ogni giorno per poterla mantenere, quindi quando noi pensiamo agli autori che che noi portiamo fuori appunto in festival e teatri, che sono poi scomparsi nel nulla, che hanno registrato delle cose, che poi non si è più saputo niente di loro, cioè noi raccontiamo il loro testamento, la loro eredità, non è una produzione di mille pezzi come John Lee Hooker, è la produzione due pezzi di uno che non sapeva di uno che, fino a che non sono venute fuori queste raccolte Harry Oster, nessuno sapeva neanche che era nato cioè di cui non c’è probabilmente neanche una foto. Quindi questa cosa qui bisogna ricordarsela bene secondo me perché siamo sempre lì, cerchiamo di uscire un attimo dal mondo dell’intrattenimento e cerchiamo di entrare poi in quello dell’empatia di cercare di capire del perché, nel toccare questa sensazione di dolore e di cercare di raccontarla di far capire che è bello battere il tempo col piede ma ci sono anche tante altre cose che
girano attorno a questa cosa qui e hanno a che vedere col battere il tempo col piede, però vedere solamente quell’aspetto li riduce la tua la tua comprensione a mi è piaciuto, mi sono divertito, non mi è piaciuto, non mi sono divertito e questa cosa qui lascia delle persone ancora dentro la prigione noi dobbiamo lavorare per farle uscire se no rimarranno sempre lì dentro.

GIANNI: allora non ci resta che dire tutti presenti a Castelfranco, in piazza Garibaldi sabato 25 per vedere questo spettacolo così colto particolare per Prison Songbook, Sara Piolanti, Marco Vignazia, quindi speriamo che siate numerosi a vedere, avrete libretto di sala, avrete il qr code avrete, non avrete la diapositiva però questo sarà un incentivo per vedere ancora preso uno shoe che in altre occasione all’interno di un teatro o di un altro festival!

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