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Formazione, storytelling e Blues. Quattro chiacchiere con Stefano Berdini

Cosa c’entra la formazione aziendale con il blues? Come si può stimolare e motivare a livello lavorativo usando le tematiche caratteristiche di questo genere? Come un’ imprenditore può trarre ispirazione dalla madre di tutte le musiche moderne?
Sono domande che trovano risposte nel libro di Stefano Berdini “Vivi nel Blues”.
Per circostanze inerenti la comune passione per il blues, Stefano mi ha contattato raccontandomi un po’ dei suoi progetti ed accennandomi del suo libro, la cosa mi ha incuriosito perché lo storytelling legato blues credo possa essere veicolo di conoscenza ed approfondimenti successivi, nonché il modo più efficace per avvicinare le persone a questo genere spesso intimorite dall’aspetto linguistico, da sempre uno dei grandi ostacoli alla piena comprensione di questa musica nel nostro paese.
INTERVISTA
Grazie Stefano per aver accettato di parlarci del tuo percorso nel mio blog, spero di farti domande abbastanza intelligenti in modo da sviscerare gli argomenti centrali del tuo approccio.
Il blues porta con sé nella sua storia la dinamica Storytelling “man in the hole”, da sempre uno tra i più efficaci modelli di narrazione, usato in migliaia di contesti. Come hai fatto ad usare questo approccio nella Formazione?
Il blues è di per sé una storia di cadute e risalite: le dodici battute, il più classico schema di un brano blues, iniziano spesso da una situazione difficile, la ribadiscono, e poi aprono uno spiraglio di risposta. È lo schema perfetto del “man in the hole” usato nello storytelling. Nella formazione ho preso questo schema e l’ho trasformato in metafora per affrontare le sfide personali e professionali: riconoscere il problema, accettarlo, e trovare insieme un’uscita utilizzando delle parole chiave. Questo aiuta i lettori a sentirsi parte di una narrazione viva, non di un manuale.
Di fatto “Vivi nel Blues” non è un libro fatto per appassionati di blues. Strana questa scelta ce ne vuoi parlare?
Hai ragione, ed è una scelta voluta. Nel libro scrivo chiaramente che l’argomento principale ‘non è il blues’. Il blues è un pretesto, una metafora che mi permette di unire la mia passione con il mestiere di formatore che svolgo da svariati anni. Non volevo scrivere l’ennesimo trattato sulla crescita personale che ripete sempre le stesse cose, ma un libro che potesse farti calare in un’esperienza, attraverso lo storytelling del blues. In questo modo, i concetti di formazione risultano più semplici, chiari e memorabili, perché li associ a storie di vita vere. Il mio scopo non è parlare agli specialisti, ma a chiunque voglia trarre ispirazione per la propria vita, sia che sia un imprenditore, un formatore o semplicemente una persona che vuole migliorare la propria vita. Chi conosce il blues ci troverà riferimenti familiari, ma chi non lo conosce può comunque riconoscersi nei racconti e nei parallelismi con la vita di tutti i giorni. Uno dei principi a cui mi affido per la creatività è la “contaminazione” e credo proprio che questo mio libro possa esserne un esempio.
Blues come riscatto personale e storico ed esempio di resilienza. Ma credi che siano stati i bluesman ad attuare attivamente questo riscatto oppure che comunque la società americana avrebbe progressivamente accantonato le logiche colonialiste e razziste portando progressivamente ad un’emancipazione (incompleta) del nero in America?
È molto difficile incontrare “blues di protesta”, almeno fino alla comparsa nel Blues revival di artisti come Josh White o J.B.Lenoir. La legittima paura di essere linciati si avvaleva spesso di double talk e metafore per raccontare il proprio disagio e la voglia di riscatto.
Direi entrambe le cose, ma con un ruolo attivo e decisivo dei bluesman. Credo che il blues sia stato una forza di cambiamento vitale: come scrivo nel libro, il blues nasce come un seme di rivolta. I bluesman non aspettavano che la società cambiasse, ma attraverso la loro musica esprimevano disagio, voglia di riscatto e la determinazione a non arrendersi.
È vero che, soprattutto nei primi decenni, la legittima paura di essere linciati costringeva ad usare metafore, doppi sensi e “double talk”. Ma quel linguaggio obliquo non ne indeboliva il messaggio, anzi lo rendeva più sottile e potente. Il blues è stato una “colonna sonora” per uscire dalla schiavitù e conquistare dignità e rispetto. In questo senso, il blues non è stato solo specchio della società, ma un motore di emancipazione. Ha mostrato che anche partendo dal nulla si può raggiungere il successo più assoluto, ispirando milioni di persone e diventando un pilastro immortale della musica e della cultura.
Come è cambiata la tua vita con il blues?
La mia vita è cambiata completamente e in meglio. Per molti anni ho vissuto una vita ‘dissociata’, con il lavoro, le passioni e la famiglia in compartimenti stagni. Il blues mi ha offerto un salvagente in un periodo di lotte interne e insoddisfazione, aiutandomi a fare pace con i miei ‘bruciori’. Mi ha insegnato l’importanza di mettere passione ed emozione in tutto ciò che faccio. Non volevo più interpretare un “assolo di molta tecnica ma poco sentimento”, come facevo all’inizio della mia carriera di formatore. La musica mi ha liberato dalla costrizione di dovermi dedicare solo a ‘cose serie’, permettendomi di unire il gioco, la musica e il lavoro per essere un professionista più efficace e, soprattutto, una persona più felice e realizzata.
“Trova un lavoro che ti piace e non dovrai mai lavorare nella vita!” pensi che sia vera questa affermazione?
Parzialmente. È vero che se ami ciò che fai ti senti più realizzato, ma il lavoro resta comunque impegno, responsabilità e fatica. Ma la vera da differenza sta nel senso che attribuiamo a quella fatica. Nel mio libro spiego che uno dei problemi più grandi è l’immobilismo, il sentirsi bloccati in scelte che non ci rappresentano anche per paura, di sbagliare, di non essere all’altezza o di essere giudicati. Il blues, con il suo messaggio di riscatto, ci insegna invece a non rinunciare alle nostre passioni solo per adattarci. La vera chiave è trovare la “motivazione profonda”, il proprio “perché”. Trovare una professione che ti appassiona non significa “non lavorare”, ma dare un senso al lavoro, trasformando il “dovere” in “piacere”. Questo, secondo me, è il più grande insegnamento che il blues ci lascia. E ti confesso scherzosamente che, negli ultimi anni — forse anche per l’età — mi sto accorgendo che più che portare le mie passioni nel lavoro, vorrei portare il lavoro dentro le mie passioni!
Nel libro parli di una persona di nome Massimo, che in qualche modo ha cambiato la tua visione, scrivi che è morto giovane, ma evidentemente il messaggio che ti ha lasciato gli permette di vivere ancora adesso nel tuo quotidiano e nel tuo lavoro.
Vuoi lasciare un ricordo di lui e parlarne?
Massimo Colucci è stato molto più che un amico: è stato il mio primo compagno di viaggio nella musica. Ho iniziato a suonare con lui, sono cresciuto con lui e ho imparato tutto, non solo osservando come suonava, ma soprattutto da come concepiva la musica e la vita. La sua capacità di unire rigore e libertà, tecnica e autenticità, ha segnato profondamente il mio modo di intendere la musica. Ricordo ancora una sua frase che mi ha cambiato: quando gli mostrai un assolo perfetto, mi disse che era bello, ma non ero io. Da quel giorno ho capito che il vero valore sta nell’essere autentici, non nell’essere impeccabili. Purtroppo Massimo ci ha lasciato troppo presto, nel 2013. Due anni fa ho voluto dedicargli uno spettacolo teatrale, in cui ho raccontato alcune delle esperienze vissute insieme e ho condiviso ricordi anche molto personali di una persona eccezionale. Per me è stato un modo per farlo vivere ancora, perché la sua musica e il suo esempio continuano a risuonare ogni volta che prendo in mano uno strumento.
Hai altri progetti attualmente?
Sì, diversi. In realtà ero partito già anni fa con un’attività formativa che integrava perfettamente i contenuti del mio libro — anche se ancora non l’avevo scritto — sia all’interno delle aziende, sia davanti a platee più varie di persone interessate ad apprendere. Poi è arrivato il COVID e mi sono dovuto fermare. Ho colto quell’occasione come una pausa utile: proprio in quel periodo ho sentito l’esigenza di fissare le idee e trasformarle nel libro Vivi nel Blues. Oggi i progetti a cui vorrei lavorare sono innanzitutto quello di riprendere questa attività formativa con un format che unisce parole, musica e metafora. Sto anche scrivendo un altro libro, che prosegue sul filo conduttore del blues come chiave di crescita personale, ma lo amplia con il tema della complessità. Infine, ho un progetto che mi sta molto a cuore: portare nei teatri il recital che ho scritto circa 10 anni fa sulla storia del blues, che intreccia musica, narrazione e immagini per far rivivere questa straordinaria avventura culturale, e che quest’anno ho presentato in una veste rinnovata.
Grazie per l’interessante chiacchierata Stefano. Dove si può comprare il tuo libro?
Vivi nel Blues! si può acquistare online, su Amazon e nelle principali piattaforme. Oppure contattandomi direttamente alla mail steberdi@gmail.com.