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Robert Pete Williams – Una voce fuori dal coro

Nelle ricerche fatte per Prison Songbook ormai quattro o cinque anni fa vennero fuori diversi nomi di bluesman interessanti. Le registrazioni sul campo fatte da Harry Oster erano per certi versi molto più avvincenti di quelle fatte da Lomax negli anni ’30. Ovviamente con i dovuti “distinguo”.
Entrambi volevano raccogliere testimonianze dei canti di lavoro nei penitenziari U.S.A. ed entrambi ne vennero fuori con delle registrazioni di artisti sconvolgenti.
Molti di questi rimasero nel cono d’ombra della storia, altri come Leadbelly e Robert Pete Williams riuscirono a veder in un modo o nell’altro, riconosciuto il proprio peso artistico.
Non so dire quale fosse la “molla” che spingeva questi ricercatori a spingersi dove i diritti umani e civili venivano meno, dove l’occidente moriva, dove quel minimo di etico maturato dai greci ai giorni odierni era bandito in nome di una giustizia fatta su misura dai padroni per il mantenimento del potere, sta di fatto che il loro lavoro ha illuminato il mondo portando alla luce una storia diversa, una storia di gente finita suo malgrado dalla parte sbagliata.
Proprio nel penitenziario di Angola in Louisiana nel 1959 Oster incontrò Robert Pete Williams. Conoscevo già il nome di Williams per aver acquistato ai tempi dell’università il CD “Free Again”, ma ai tempi il mio orecchio non era abituato a questo genere di vibrazioni e misi da parte il dischetto dalla scarna copertina arancione,
Nemmeno Oster nonostante la buona volontà credo che fosse preparato per incontrare la musica di Pete Williams ma grazie al cielo il piglio progressista gli permise di mettere da parte i preconcetti e di registrare uno tra i bluesman più anomali della storia di questa musica.
Ma cosa cercava Oster?
Mi sono fatto spesso questa domanda, perché dopo il successo commerciale di Leadbelly, scoperto dai Lomax e successivamente reintegrato nel circuito commerciale al punto da diventare il “prototipo del bluesman cantastorie”, l’interessamento da parte di ricercatori nei confronti di questo sottobosco non poteva essere un caso (gomblotto?). Ebbene sempre per “caso” Oster aveva con sé una chitarra a12 corde quando si recò ad Angola e con questa registrò molti dei bluesman che si trovavano li in quel momento (Hogman Maxey, Guitar Welch e lo stesso Williams). Ma la 12 corde non era forse lo strumento che caratterizzava il suono di Leadbelly? E’ probabile che Oster volesse in queste session avere un suono più pieno che potesse garantire agli artisti registrati un suono vicino a quello del leggendario “Pancia di Piombo”? Probabilmente non lo sapremo mai ma è lecito porsi la domanda.
Robert Williams nacque a Zachary in Louisiana nel 1914 da una famiglia di contadini. Non ebbe un’istruzione e questo probabilmente determinò la sua esistenza. È strano notare che la propria dimensione artistica crescesse con grande autonomia e originalità.
Parlare di originalità quando si parla di blues vuol dire mettere in campo uno sforzo creativo non indifferente, tenendo conto in primo luogo che il primo aspetto che il bluesman valorizza è la narrazione.
Come in Skip James anche in Robert Williams pare essere assente una vera e propria influenza musicale, e anzi l’autonomia stilistica non sembra nemmeno originare una “scuola” come avviene nel caso del bluesman dei Bentonia.
Lo stile asimmetrico e poliritmico di Williams avrebbe messo in difficoltà chiunque.
La visone è artistica e non cerca conforto nel già detto o nel già fatto ma. accetta la sfida dell’incognito.
PRINCIPALI INFLUENZE MUSICALI
Anche se come appena scritto Robert Williams non dimostra alcun legame stilistico con altri bluesman, preme sottolineare che essendo un’artista operante nei tardi anni ’50 potè accedere a molte registrazioni contemporanee e precedenti. Egli stesso ricorda che il nomignolo “Pete” deriva proprio dalla sua abilità nel riprodurre le linee melodiche di Peetie Wheatstraw.
Altri artisti che Pete Williams ammairava erano Blind Lemon Jefferson (di cui apprezzava la fluidità di esecuzione), e alcuni artisti locali di cui non esiste traccia discografica Frank Meddy e Robert Meddy.
E’ strano come un artista così lontano da ogni velleità modernista o se vogliamo esagerare “di ricerca” abbia imboccato una direzione che lo porta vicino agli odierni artisti di Desert Blues (scusate l’iperbole temporale). Eppure questo linguaggio così stranamente Africano (ma fino a un certo punto) diventa la sua principale cifra stilistica.
Robert Pete Williams è sicuramente un Bluesman che cerca con forza e trova una propria originalità e un proprio linguaggio, ma purtoppo la vita gli gioca un brutto schherzo che condizionerà tutta la sua carriera e la sua esistenza.
Nel 1956 in seguito ad una lite in un bar dove sparò a un uomo e finì in prigione nel tristemente famoso penitenziario di Angola in Louisiana. Spesso nelle sue canzoni cita che la durata della pena dovesse essere l’ergastolo a vita (Some got Six Month,but my and my buddy have lifetime here), ma altre fonti parlano di una condanna a 12 anni. Al di la di queste informazioni Pete Williams venne rilasciato grazie all’interessamento del sopra citato Harry Oster nel 1959, in libertà vigilata lavorativa.
Questo periodo di detenzione portò molti argomenti alla poetica di Williams che insieme a Bukka White divenne uno dei più attenti narratori di quello che potremmo definire “Prison Blues”.
Lo sguardo poetico di Robert Pete Williams è sempre introspettivo e guarda la sua vita con una prospettiva tragica. Spesso c’è un senso di commiserazione. Indubbiamente l’esperienza carceraria segna in modo indelebile la visione di questo bluesman e determina molte scelte difficili anche a livello musicale, a tal proposito nel 1960 ricevette un invito a esibirsi al Newport Folk Festival, nonostante l’invito, che fu pubblicizzato con la sua foto sulla stampa nazionale, la commissione per la libertà vigilata (parole board) gli rifiutò il permesso di viaggiare. Di conseguenza, dovette continuare a lavorare in una fattoria locale fino a quando la sua pena non fu scontata. Potè esibirsi solamente nel 1964.
DISCHI
• Angola Prisoner’s Blues
• I’m Blue as a Man Can Be
• When a Man Takes the Blues
• Poor Bob’s Blues
• Free Again
• Louisiana Blues
• Legacy of the Blues Vol. 9
• Those Prison Blues
• Robert Pete Williams
• 101 Sugar Farm Blues
• Robert Pete Williams and Snooks Eaglin
• When I Lay My Burden Down
• With Big Joe Williams
• Broken-Hearted Man
Interessante a questo proposito paragonare le due versioni del brano Grow so Ugly dove Captain Beefheart prende in mano la lirica di Williams aggiungendo dati biografici non realistici, come la detenzione nel 1964, quando avvenne nel 1956, il tutto per contestualizzare il racconto in modo da ambientarlo nel penitenziario di Angola.
La versione a sinistra che ho fatto trascrivere personalmente è quella invece di Robert Pete Wiliams, e stranamete almeno per una volta il tema carcerario anche se sottinteso non è dichiarato.
I GROW SO UGLY
Robert Pete Williams
I got up this morning
And I put on my shoes
I strung my shoes
Then I washed my face
I walked to the mirror
For to comb my hair
I made a move
Didn’t know what to do
I stepped a way forward
Got to break and run
Oh Baby, oh baby this ain’t me
I got so ugly I don’t even know myself
I go in my car
Have some pitch in me
I’m a bring back home
Put em side by side
I’m a take a look
Said your safe with me
Oh no
Oh no
Baby this ain’t me
I got so ugly I don’t even know myself
Mama said when I was a baby
Pretty thing she had
I grow up to be a man
Only thing in the past
Baby, oh baby, baby this ain’t me
Got so ugly I don’t even know myself
I was standing on the porch
Looking down the street
I looked like something
Hadn’t saw in a week
Baby listen me
Oh listen me
I got so ugly I don’t even know myself
I GROW SO UGLY
Captain Beefheart
I got up this morning
And I put on my shoes
I tied my shoes
Then I washed my face
I went to the mirror
For to comb my head
I made a move
Didn’t know what to do
I tipped way forward
Got to break and run
Baby, this ain’t me
Baby, this ain’t me
Got so ugly I don’t even know myself
I left Angola
1964
Go walking down my street
Knock on my baby’s door
My baby come out
She asks me who I am
And I say, honey
Don’t you know your man?
She said my man’s been gone
Since 1942
And I’ll tell you Mr. Ugly
He didn’t look like you.
Nonostante avesse raggiunto la fama e il rispetto in una nicchia del mondo del blues, non divenne ricco in patria. Durante gli anni della sua libertà, per mantenersi, svolgeva lavori che includevano la raccolta e la vendita di rottami di ferro – scrap iron – di cui esiste un docuclip su youtube, o guidava un camion per la raccolta di rottami. Robert Pete Williams è morto il 31 dicembre 1980 a Rosedale, in Louisiana al momento della morte aveva 66 anni.
La lezione che ci lascia oltre a memorabili blues è quella di cercare sempre con tutte le proprie forze un proprio modo di fare musica o arte in genere al di là dei facili applausi o delle gratificazioni effimere, di essere in qualche modo un “voce fuori dal coro”.
Una lezione importante in un momento in cui il valore più coltivato è quello dell’omologazione.
Affrontare la musica di Robert Pete Williams vuole dire rinunciare alle certezze “di genere” e accettare la sfida della creatività. Vuol dire mettere in campo un’apertura mentale che spesso giace pigramente in qualche polveroso cassetto del nostro cuore.
Con Prison Songbook abbiamo proposto diverse volte brani di Robert Pete Williams arrangiati a modo nostro ovviamente!
Come sempre sò di non essere stato esaustivo, ma spero di aver almeno incuriosito!